Lettura popolare III Pasqua Anno A
La grazia da chiedere è di gustare gli effetti della resurrezione di Gesù nella mia vita, per vincere tristezza e solitudine e riscoprire la bellezza della fede condivisa.
Lettura popolare di Lc 24,13-35
- Spiegazione del racconto
I due discepoli si stanno allontanando da Gerusalemme, dove era avvenuta la morte di Gesù e dove stavano gli altri discepoli, verso Emmaus, luogo in cui Israele aveva sconfitto Antioco IV con una importante vittoria militare. Il loro movimento geografico è simbolo di un percorso spirituale caratterizzato dalla delusione nei confronti di Gesù, dalla tristezza e dalla separazione dalla comunità cristiana e tra di loro. I due infatti discutono tra di loro, divisi nelle loro opinioni riguardo a ciò che era accaduto (v. 15). Qui li raggiunge Gesù, e si mette a camminare con loro. Se il lettore sa che si tratta di Gesù, i due discepoli non lo sanno, i loro occhi non possono riconoscerlo (v. 16), perchè la loro speranza era ancora di carattere politico, speravano in una vittoria storica di Gesù. Come accadrà il loro riconoscimento? Come Gesù li guiderà a riconoscerlo?
Anzitutto egli pone delle domande e li fa parlare (v. 17. 19), permettendo loro di ripercorrere tutti gli eventi accaduti in quei tre giorni. Essi descrivono Gesù come un profeta potente in parole ed opere (cfr. Dt 18, 15) e la sua morte in croce ad opera dei capi di Israele come un evento che mette fine alle speranze di riscatto di Israele (v. 21), speranze insieme religiose e politiche. Sono passati ormai tre giorni (v. 21) – ironico riferimento dell’evangelista al lettore, il quale sa perfettamente che Gesù è risorto – e i due discepoli raccontano di come le donne non abbiano trovato il corpo di Gesù alla tomba e abbiano avuto una visione di angeli, che affermano che egli è vivo (v. 23). Anche altri discepoli sono andati alla tomba, ma non lo hanno visto (v. 24). I discepoli si trovano in una situazione di stallo, perchè la realtà offre indizi contraddittori (la morte di Gesù e il sepolcro vuoto) ed essi non sono ancora giunti alla fede (v. 24).
A questo punto prende la parola il pellegrino per vincere la durezza di cuore che impedisce ai discepoli di riconoscere negli eventi accaduti il compimento delle Scritture. Il Cristo doveva soffrire per entrare nella sua gloria, e questo mistero è contenuto in tutto l’Antico Testamento, dal Pentateuco fino ai Profeti (v. 26-27). È Gesù stesso a farsi interprete delle Scritture, per condurre i discepoli all’interno del mistero della sua morte/resurrezione e aprire il loro cuore, sciogliendolo dalla durezza dello scandalo della morte del Cristo, con il calore della sua presenza. Non a caso i discepoli si ricorderanno del cuore che arde, mentre Gesù apre loro le Scritture (v. 32).
Come Gesù potrà definitivamente aprire loro gli occhi della fede? Mentre egli fa il gesto di proseguire il suo cammino separandosi da loro, essi lo invitano a rimanere con loro come ospite e questo atto di carità prelude al dono che Gesù farà loro. L’ospite è Gesù stesso, che si fa riconoscere nello spezzare il pane (v. 35). I suoi sono i gesti e le parole dell’eucarestia: prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede loro (v. 30). Nell’eucarestia Gesù si rende presente ai discepoli ed essi possono definitivamente riconoscerlo come presente in mezzo a loro. Alla luce dell’eucarestia i loro occhi si aprono anche sulle Scritture, precedentemente spiegate da Gesù (v. 32).
A questo punto il loro cammino si inverte, essi ritornano indietro a Gerusalemme, per testimoniare che Gesù è vivo. Questa conversione geografica è segno di una conversione spirituale, che permette ai discepoli di riconoscere la Chiesa come il luogo dell’annuncio che Gesù è risorto. La loro esperienza personale coincide in modo sorprendente con quella degli altri discepoli e il luogo di questa prodigiosa consonanza è la comunità ecclesiale radunata a Gerusalemme (vv. 33-35).
- Attualizzazione
Il percorso dei discepoli di Emmaus è quello di due persone che si stanno allontanando dal gruppo dei loro amici e pure tra di loro discutono senza potersi riconciliare con quanto accaduto. La memoria di un evento troppo doloroso per essere sopportato finisce per dividerli l’uno dall’altro, nel loro cammino verso Emmaus.
Quando la vita ci mette alla prova con le difficoltà, i dolori, le delusioni inattese, la nostra tendenza è quella di fuggire dal luogo della delusione, Gerusalemme ed andare verso Emmaus, rifugiandoci in un mitico e consolatorio passato. È proprio mentre così facendo ci allontaniamo da noi stessi e da coloro che ci vogliono bene, che Gesù si affianca, senza farsi riconoscere. Egli può farlo, perché si accosta con delicatezza e come un pellegrino, a cui nessuno può dare importanza. Egli si avvicina e cammina accanto a noi, ma noi non siamo in grado di riconoscerlo perché le sue vesti sono troppo feriali e comuni e noi non siamo ancora abituati ad una presenza di Dio in questo modo così semplice e ordinario nella nostra vita. La fede in fondo è proprio questo: avere occhi per vedere ciò che è troppo semplice per essere notato. Gesù fa domande e suscita i loro sentimenti. Essi con il volto triste raccontano: è il modo che Gesù ha di porsi accanto a noi come fosse un amico, a cui interessa che noi prima di tutto ci sfoghiamo con lui, raccontando ciò che ci fa star male, le nostre attese deluse ma anche la nostra difficoltà di capire, dentro ad una realtà spesso complessa e contraddittoria. Che cosa realmente è successo? Quali erano le nostre aspettative? Erano realmente fondate? E poi è proprio vero che tutta la storia sia finita a quanto abbiamo già registrato nella nostra memoria e di cui siamo convinti? Sono le domande che noi ci facciamo quando Gesù ci lascia parlare e a partire dagli spiragli aperti da questi dubbi lui può inserire la sua consolante risposta. “Il Cristo doveva patire per entrare nella sua gloria”: c’è un bene più grande che ricompensa e in fondo trasforma la sofferenza in una gloria straordinaria. Dio non ci ha dato qualche sofferenza senza simultaneamente prometterci un bene più grande, proprio dentro quella sofferenza. Questi sono gli effetti della resurrezione nella nostra vita. I due di Emmaus invitano poi Gesù a cena e questo atto di carità si trasforma in un prodigioso riconoscimento. Non è forse quando, uscendo dall’atteggiamento di chi si lecca le ferite, cominciamo a rivolgerci agli altri e a vederne le necessità, che possiamo incontrare e riconoscere Dio nella nostra vita?
È da questo momento che i discepoli ritornano a Gerusalemme, nella comunità che annuncia e condivide la fede. Qui essi trovano che l’esperienza della resurrezione non è un evento privato ma comune anche agli altri discepoli. È l’evento che ci fa Chiesa
- Per ampliare il discorso: incontrare Gesù risorto e vivo
L’incontro con Gesù risorto non è uno slogan, ma una realtà. Come può accadere nella nostra vita?
- Gli incontri dei testimoni
Anzitutto bisogna notare che i discepoli di Emmaus compiono il loro itinerario di fede quando raccontano la loro esperienza con Gesù dopo aver ricevuto la testimonianza di fede di Pietro a Gerusalemme: “Il Signore è risorto ed è apparso a Cefa”. Le esperienze personali trovano conferma nella testimonianza altrui, quando un altro mi racconta e mi dice proprio quello che sto provando io, perché lui stesso l’ha già attraversato. In altri termini abbiamo bisogno di testimoni, di persone che ci raccontino come hanno incontrato Gesù nella loro vita, per entrare sempre più dentro al mistero della resurrezione. Infatti solo il confronto con dei testimoni permette di rendere più oggettivo anche il mio percorso di ricerca, dentro alle sfide di una realtà spesso contraddittoria. Tanti segni mi portano a credere, ma ho anche diversi dubbi. L’unica possibilità è tornare a camminare insieme ad altri per ricevere il dono della loro testimonianza.
- L’incontro con Gesù risorto non mi costringe a credere
Gesù si è sottratto, appena i due di Emmaus lo hanno riconosciuto
Il segno del pane spezzato ha condotto i due discepoli a riconoscere Gesù. Sono dei segni che ci permettono di riconoscere la sua presenza nella nostra vita, segni interiori e talvolta anche esteriori, ma sempre da interpretare. Il risorto si affida alla nostra libertà di interpretazione e non intende mai sostituirsi a noi, imponendoci la sua presenza. Proprio per questo motivo egli si sottrae appena essi lo riconoscono. In questo modo il risorto intende anche evitare il rischio che la resurrezione sia interpretata come un banale ritorno alla vita. Essa è invece un mistero molto più grande, è la definitiva salita di Gesù al Padre, da cui Gesù con un corpo glorioso, domina tutta la storia e il tempo (1 Cor 15, 44). È una definitiva sconfitta sul potere della morte, che supera ogni attesa ogni possibilità di rappresentazione. La resurrezione è e rimane un mistero, anzi il mistero per eccellenza della nostra fede.
…ma non si è rifiutato dal mostrarsi presente, in persona, con i suoi
Dai racconti evangelici la resurrezione di Gesù emerge come un fatto reale, oggettivo (cfr. Lc 24, 42 – 32). Si tratta di un’esperienza profondamente umana, toccante e reale che i discepoli hanno fatto, altrimenti non ne avrebbero potuto parlare con tanta sicurezza, affrontando anche le persecuzioni e la morte (cfr. At 2, 32-33), proprio loro che durante la passione erano fuggiti da Gesù per paura dei giudei. La sua presenza in mezzo ai suoi è un fatto che ha sconvolto la loro vita e l’ha trasformata radicalmente, donando loro una forza, un coraggio e una gioia umanamente incomprensibili (Gv 20, 21). Ci si può chiedere perché egli si sia manifestato solo ai suoi e non a tutto il popolo. A questa domanda si può rispondere dicendo che per incontrare Dio bisogna ricercarlo con umiltà, in un rapporto personale, perché Dio non intende costringere nessuno a credere a lui. Se Gesù si fosse manifestato alle masse in un miracolo spettacolare, le persone non sarebbero più state libere di credergli.
Per la lettura popolare
Collocazione spaziale: è bene curare particolarmente la collocazione spaziale dei partecipanti all’incontro. È opportuno scegliere configurazioni geometriche che favoriscano la percezione dei partecipanti di trovarsi coinvolti allo stesso livello e senza distinzioni gerarchiche con gli Accompagnatori (meglio un cerchio di sedie che un tavolo “da relatore” con le file di sedie davanti).
Durata complessiva dell’incontro: 1h (tutte le indicazioni temporali sono puramente indicative dei rapporti che dovrebbero stabilirsi tra le fasi dell’incontro: non sono da prendere alla lettera, ma neanche da sottovalutare).
- Condividiamo la vita. Porre la domanda: in questa giornata mi sono sentito solo oppure ho sentito, percepito, avvertito, la presenza di qualcuno che mi accompagnava? (10 minuti max.).
Questa domanda ha l’obiettivo di coinvolgere i partecipanti al Cenacolo a partire dalla loro vita. Deve essere posta in modo molto informale e quasi naturale, come se l’incontro non fosse ancora iniziato realmente. L’accompagnatore sa invece che con questa domanda i partecipanti iniziano a condividere le loro esperienze dentro al contesto interpretativo del racconto evangelico. Infatti i due discepoli di Emmaus camminano accompagnati dal pellegrino. Questo accompagnatore, che per la verità si è inserito molto delicatamente nel loro viaggio, senza farsi riconoscere, era in realtà Gesù.
- Leggiamo con attenzione il brano del vangelo e soffermarsi su una parola o un versetto che colpisce: Lc 24, 13-35) (5 minuti c.).
- 3. Dialogo e catechesi con l’Accompagnatore-Guida (20 minuti c.).
Con l’aiuto del commento riportato su al n. 4.1. l’accompagnatore aiuterà ad osservare
– cosa fa o dice Gesù
– cosa fanno e dicono i due discepoli di Emmaus
– cosa fa o dice la Comunità di Gerusalemme
Partendo dalla condivisione della parola si può invitare qualcuno, che sembra un pò più estroverso e a suo agio nel gruppo, ad esplicitare il “perchè” ha scelto la parola. A questo punto si aiutano anche gli altri, ponendo delle domande, a condividere le loro impressioni e valutazioni.
Alcune domande possono essere poste, senza pretendere di seguire un ordine logico preciso, ma seguendo le intuzioni condivise dai partecipanti.
Può essere d’aiuto soffermarsi, nel dialogo su alcune parole chiave, come i verbi che caratterizzano l’azione dei personaggi, senza essere troppo scolastici, ma suggerendo alle persone le possibili identificazioni interiori.
A titolo di esempio.
I due discepoli, mentre si allontanano dalla comunità, discutono tra di loro e non sono d’accordo sull’interpretazione da dare a quanto accaduto. Mi è mai capitato di voler imporre la mia opinione, proprio quando mi sento coinvolto personalmente e in qualche modo ferito dall’opinione altrui? Come interpreto l’incapacità di dialogare nella verità?
Gesù si fa vicino e li accompagna. Mi sento accompagnato da Dio, proprio dentro le mie ferite? C’è qualcuno che si fa vicino nel momento in cui la ferita che porto nel cuore mi divide dagli altri?
Gesù fa domande e li fa parlare. Mi rivolgo a Lui, parlandogli di tutto quello che mi accade? Sento che questo comincia a risollevarmi e a darmi speranza in un progressivo dipanarsi dei miei dubbi e preoccupazioni?
Solo ad un certo punto Gesù prende la parola, li rimprovera e apre il loro cuore all’intelligenza. Il Cristo “doveva” patire per entrare nella sua gloria. Sono abbastanza umile da accettare di non capire e lasciarmi accompagnare da qualcuno, senza rinunciare alla mia intelligenza, alla scoperta di un mistero infinitamente più grande di me?
I discepoli invitano Gesù a stare con loro e lo riconoscono nello spezzare il pane. Quali segni mi guidano a riconoscere il mistero della resurrezione nella mia vita? Si è mai verificato che le risposte più belle le ho ricevute quando mi sono donato ad altri?
I discepoli ritornano a Gerusalemme. Quale itinerario di andata e ritorno si sta verificando nella mia vita?
- Al termine del dialogo: l’accompagnatore porta a sintesi il dialogo con un annuncio. È possibile anche aggiungere una testimonianza di vita (10 minuti c.). La testimonianza può essere data da uno degli Accompagnatori (eventualmente anche dallo stesso che guida o da un’altra persona per es., un Accompagnatore di un’altra parrocchia), che riesca a raccontare con umiltà e gratitudine la ‘conversione’ o cambiamento di vita che il Signore ha operato in lui/lei attraverso l’incontro con Gesù.
- Condividiamo la nostra preghiera (5-10 minuti c.). L’ultimo passo, dopo la condivisione della vita, è invitare ad una breve preghiera, magari formulata inizialmente dall’Accompagnatore. Qualche minuto di silenzio può aiutare a far risuonare la vita e la Parola condivise e raccogliere alcuni elementi che possono essere stimoli per una preghiera. Il partecipante che non se la sente ancora di pregare ad alta voce, sentirà comunque che la propria condivisione è stata ascoltata e che la sua vita è stata messa davanti a Dio nella preghiera degli altri fratelli o sorelle.